Capitolo 3.




Cominciai a sfogliarne le pagine, leggermente ingiallite ai bordi: evidentemente quel libro aveva avuto parecchi anni per stare accoccolato nel suo scaffale del negozio. Presi la prima pagina e cominciai a leggere sperando che questa volta il genere non mi avrebbe deluso.


Dopo qualche capitolo poggiai il romanzo sul comodino e andai a prepararmi qualcosada mangiare. Aprendo il frigo trovai una confezione di gelato e non resistetti ad aprirla: presi una coppetta e misi dentro due cucchiai di gelato al cioccolato e mi sedetti vicino alla finestra. La via su cui si affacciava il mio piccolo appartamento era sempre trafficata, almeno da quello che avevo potuto vedere.  Una bimba che prendeva per mano la sua mamma mi fece venire nostalgia, una bici verde attirò la mia attenzione. "Dovrei comprarne una per muovermi meglio" pensai.
Finito il gelato, mi buttai sul letto e ripresi il libro tra le mani. Mentre lo sfogliavo, dalle pagine cadde qualcosa. Doveva essere un foglietto, davvero leggero, perchè cominciò a svolazzare da una parte all'altra fino a che non si posò finalmente sul pavimento di legno senza neanche un tonfo. Lo presi tra le dita e lo passai da una mano all'altra. La carta non era del tutto bianca, sembrava usata, strappata da un vecchio folgio ingiallito e spesso. Le linee che tracciavano le righe erano sbiadite, a malapena si vedevano. Eppure il mittente era stato attento a scriverci perfettamente sopra. Il biglietto recitava una frase tagliente, che mi colpì nel profondo: "La prima cosa che la lettura insegna è come star soli. J.F"


"Deve essere quel commesso" Pensai, con lo sguardo perso nel vuoto. Continuai a rigirarmi quella citazione tra le dita non capendo il perchè di un gesto tanto inquietante quanto stranamente carino. "Non dovrei far passare così la  cosa. Dovrei parlargliene e rimetterlo in riga, non mi piace che si comporti in questo modo. Potrebbe essere pericoloso".


Ero decisa più che mai ad andare di nuovo in quella biblioteca, ma più ci pensavo più cercavo una ragione per non farlo. "Magari è stato un errore" " Ma nessuno scrive per errore un biglietto con una citazione di Franzen e lo infila in un libro". I pensieri si arrovellavano, andavano l'uno sull'altro e vorticavano nella mia testa. Alla fine decisi di andare la mattina dopo, prima di fare tutte le commissioni.


Durante la notte continuai a leggere, e pagina dopo pagina, non credetti ai miei occhi quando finalmente lo finii. Ora avevo realmente una scusa per recarmi di nuovo in libreria e indagare sullo strano biglietto. Presi quest'ultimo in mano e lo conservai in una tasca interna della mia borsa nera e, nel farlo, sfiorai un depliant. All'improvviso ritornai con i piedi per terra, mi ricordai ciò per cui ero là: non mi ero trasferita solo per cambiare area e poter godere di tutti i servizi che una grande città offre, in realtà ero andata via di casa soprattutto per potermi iscrivere all'università.


Tirai fuori il volantino colorato in cui capeggiava in rosso la scritta "Corso di laurea in filosofia". Era sempre stata lei la mia materia preferita al liceo, una delle poche che studiavo con grande piacere e che approfondivo per pura curiosità personale. Nessuno dei miei compagni di classe aveva mai capito però, tantomeno gli insegnanti, e se nel biennio mi ero guadagnata la nomea di "strana" e "asociale", al triennio aggiunsi anche "nerd" alla lunga lista dei soprannomi. Non c'è quasi nulla che ricordi con piacere del liceo, se non la campanella che suonava alla fine della giornata: al solo sentirla, mi sembrava di guadagnare anni e anni di vita. Così tornavo a casa e mi rintanavo in camera; mentre gli altri uscivano, andavano alle feste, si divertivano e si ubriacavano io invece leggevo Cartesio per poi passare a Galileo o a Sartre. Erano questi tipi di letture che scandivano i miei giorni, impedendomi di confonderli in un unico calderone di monotonia. Io amavo la filosofia, tuttavia iscrivermi  al corso mi terrorizzava, fino a quel momento non avevo trovato il coraggio di farlo, nonostante sapessi benissimo che la scadenza sarebbe stata a breve e che non avrei avuto altre possibilità di tentare.


Guardai il retro del depliant, in cui erano riportate le indicazioni per raggiungere il campus. "Devo almeno provarci" pensai; e decisi di andarci subito, senza avere il tempo di fermarmi a rifletterci su.


Era mattina presto, perciò per strada non trovai nessuno. L'aria mi sferzava il viso sempre più forte man mano che la bici prendeva velocità. Sembrava che non mi sarei potuta sbagliare sulla strada per arrivare all'università, da quanto diceva la mappa era l'unico edificio imponente nel raggio di qualche chilometro, tutt'attorno era stato predisposto una sorta di parco dove gli studenti potevano studiare o al contrario staccare un po' dai libri e rilassarsi.


L'ultima volta che avevo pensato di iscrivermi all'università mi ero fatta una scaletta, in questo modo avrei programmato tutto nei minimi dettagli. Se avessi lasciato anche solo un punto interrogativo, sarei riuscita a rovinare tutto. Così avevo fatto qualche lavoretto estivo, risparmiato parecchio, e avevo messo da parte i soldi necessari per acquistare i libri per il primo anno che trovai in elenco sul sito della facoltà. Mi informai anche riguardo alle borse di studio disponibili e mi concentrai più che mai sulla scuola per ottenere i voti richiesti. Infine, mi sarebbe rimasto solo da chiamare la segreteria dell'istituto, ma solo con la maturità in pugno. E così feci, a metà luglio. Composi il numero e attesi in linea fino a che una segretaria non mi rispose. Con la voce tremante dalla timidezza e dall'emozione cercai di capire al meglio quali fossero i fogli da compilare, entro quando dovessi presentare la domanda di ammissione e chiarii altri dubbi che mi ronzavano in testa da un po'. Alla fine, la segretaria mi disse di chiedere di lei non appena mi fossi decisa a presentare la domanda e mi salutò, augurandomi il meglio.
E il momento era arrivato, dopo qualche mese.

Comment